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Contro la Regionalizzazione dell’Istruzione!

Come lavoratrici e lavoratori della scuola vogliamo esprimere non solo preoccupazione, ma soprattutto il completo rifiuto del pericoloso progetto di regionalizzazione differenziata che verrà discusso in Cdm il 15 febbraio.

Siamo contrari alla regionalizzazione della scuola che il Governo giallo-verde vuole attuare, accogliendo le richieste di alcune amministrazioni regionali del Nord, di cui è capofila il Veneto. Tale provvedimento, adeguando le risorse economiche destinate alla scuola al gettito fiscale regionale, accresce le disparità tra le regioni a svantaggio di quelle meno ricche.

Si rischia la distruzione dell’istruzione pubblica nazionale uguale per tutti i cittadini, consentendo la scrittura e la gestione di programmi scolastici su base regionale. Inoltre, la regionalizzazione dell’istruzione aumenterà l’ingerenza delle imprese nella scuola, poiché faciliterà gli accordi tra queste ultime, gli assessorati e i singoli istituti, in nome dell’adeguamento alle presunte “esigenze del territorio”.

In realtà si tratta, come già oggi avviene per i percorsi di Alternanza Scuola-Lavoro, di un adeguamento alle esigenze capitalistiche del momento: il sistema produttivo locale cerca di esternalizzare il costo della formazione della forza lavoro, facendolo nei fatti ricadere sulla collettività. Tutto ciò, infine, rischia di trasformarsi nell’ennesimo regalo al sistema di formazione privato a danno della scuola pubblica. Resta, infatti, dubbio come verranno gestiti dalle Regioni i fondi per le scuole paritarie private, tuttavia basta guardare al Veneto per capire il modello verso cui ci si orienta. In questa regione le scuole dell’infanzia sono già per il 65% in mano ai privati.

Le precedenti esperienze di regionalizzazione, prima per importanza quella della sanità pubblica, dimostrano che tale provvedimento crea forti squilibri e differenze tra le diverse zone del Paese e favorisce la privatizzazione del servizio pubblico. La scuola è oggi la più importante istituzione pubblica italiana, che offre una formazione culturale omogenea ai futuri cittadini del paese garantendone la parità di principio. Non possiamo permettere che tale istituzione venga smantellata da progetti che sono, nella loro sostanza, apertamente scissionisti. Tali progetti ben rispondono al disegno di creare “due Italie” con diverse situazioni economiche: un nord a capitalismo competitivo, legato all’Unione Europea e alle sue regioni più efficienti e un sud povero e arretrato, condannato a fare da riserva di mano d’opera e di risorse da sfruttare a vantaggio di tali regioni. Questo progetto trova sponda anche in quei partiti, come il PD, che si propongono più come competitori che oppositori del governo, cercando di rappresentare settori della borghesia economicamente più avanzata e più “illuminata”. Non è un caso che il sindaco di Milano, Sala, sia stato il capofila della cordata di sindaci PD che hanno votato Si al referendum lombardo sull’autonomia regionale indetto dalla giunta leghista.

L’ipotesi di regionalizzare anche il rapporto di lavoro degli insegnanti comporta un peggioramento della condizione dei docenti, poiché ne frammenta la categoria, non più inquadrata in un CCNL unico e ne impedisce la mobilità su scala nazionale. Le forze di governo cercano di ottenere consenso, in Lombardia e in Veneto, facendo balenare la possibilità di stipendi più alti per i docenti di tali regioni, con contratti regionali di secondo livello, in modo da dividere così la categoria e fermare il dissenso e la mobilitazione unitaria che dovremmo praticare.

Il passo finale della distruzione del sistema d’istruzione nazionale e della sua privatizzazione sarebbe, infine, l’abolizione del valore legale dei titoli di studio, in particolare, ma non solo, della laurea, già vecchia proposta del Movimento 5 Stelle a cui si è associata oggi la Lega. L’abolizione del valore legale dei titoli di studio provocherebbe la creazione di istituti e di università “di eccellenza” sostanzialmente privati e che, è facile prevedere, si collocherebbero quasi esclusivamente nelle regioni del Nord. Questo avrebbe effetti devastanti non solo sull’assetto formativo ma anche su quello della ricerca a livello nazionale, che già oggi presenta grandi differenze locali che, in tal caso, sarebbero sancite anche legalmente.

Non possiamo permettere la distruzione della scuola uguale per tutte e tutti per favorire la “buona” scuola dei privilegiati.

Pertanto invitiamo i collettivi studenteschi, i collettivi autorganizzati di lavoratrici e lavoratori della scuola, le organizzazioni sindacali a unirsi alla settimana di mobilitazione che il Tavolo Scuola nazionale di Potere al Popolo lancia, dal 25 febbraio al 3 marzo, in tutte le città, dal Nord al Sud del Paese.

Scarica qui il volantino che distribuiremo

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