Il laboratorio Italiano, da sempre alambicco privilegiato della nuova politica, partorisce un esperimento innovativo e inquietante. Il governo “Movimento 5 stelle-Lega” nasce su solide fondamenta neoliberiste che vanno da una stretta securitaria sui piccoli reati e dalla persecuzione dei migranti fino alla Flat Tax. Misura, quest’ultima, che incarna la realizzazione del sogno di quella casta di ricchi e parassiti della finanza che non smettono mai di trovare governi amici, rappresentando un passaggio fondamentale nella lunga “lotta di classe dall’alto”, che annulla il principio costituzionale della progressività fiscale aprendo ad enormi tagli della spesa pubblica e acuendo le diseguaglianze sociali.
Tuttavia sarà difficile conciliare il reddito di cittadinanza e una pensione sociale, cose sacrosante proposte nel programma di governo, come la qualità dei servizi pubblici, con i tagli alla spesa pubblica dovuti alla Flat Tax. Sarà questo il punto maggiormente critico di un governo la cui radicale collocazione a destra non suscita alcun problema nel consenso popolare ma che anzi, purtroppo, nelle misure più brutali e contrarie ai diritti umani (come le misure contro i migranti) rischia di ricevere il consenso più ampio. Dobbiamo finalmente prendere atto di giocare la nostra partita su un campo ostile in cui il senso comune è egemonizzato da una destra xenofoba che però non si presenta come tale, in uno spazio ideologico di rifiuto delle ideologie e delle forme storiche della partecipazione politica (partiti, sindacati). In questo quadro è controproducente appellarsi all’unità della sinistra. Bisogna invece porsi il tema della ricostruzione popolare delle ragioni politiche e sociali della sinistra sociale e politica, mirando a mettere in piedi una grande forza popolare che parli di giustizia, democrazia, pace e uguaglianza attraverso la legittimità della nostra costituzione e la ricostruzione di tessuto sociale solidale. Non basta però la lista della spesa delle cose che non vanno, ma bisogna fin da subito porre il fine esplicito di andare al governo per cambiare le cose, perché governare non vuol dire avere il potere, ma per avere potere non si può non governare. Abbiamo bisogno di un progetto che sappia immediatamente parlare all’esterno con parole comprensibili e volontà egemonica, che attraversi la sfiducia verso le istituzioni e la democrazia che ha permesso l’affermazione di proposte populiste di diverso colore, individuando chiaramente in una democrazia radicale capace di rappresentare il 99% della popolazione che subirà gli effetti della Flat tax, lo strumento che permetterà di dare voce a quella maggioranza sociale che vive la guerra giornaliera della precarietà e che vuole uno stato capace di garantire uguaglianza e servizi. Un populismo di sinistra che divide la società in poveri e ricchi, in basso contro alto.
Dovremo in questo senso produrre uno sforzo notevole per elaborare una narrativa ed un discorso politico che riescano a oltrepassare il linguaggio e gli schemi noti soltanto alle nostre cerchie militanti e che siano capaci quindi di stare dentro al dibattito vivo che attraversa il cuore del Paese. E dovremo farlo in un momento in cui ai nostri potenziali interlocutori all’esterno poco interessa l’enorme lavoro organizzativo e politico che Potere al Popolo ha prodotto e produrrà per costruirsi come soggetto politico, e molto poco maneggia le nostre categorie politiche ed economiche di analisi della fase.
Non recedendo da nessuno dei nostri contenuti, ma mirando ad essere percepiti come quelli che, certo a loro modo, parlano sempre di quello che interessa alle persone, ai lavoratori e alle lavoratrici, ai giovani del nostro Paese, e non di quello che interessa a chi si occupa di politica.
Dovremo quindi diventare interpreti di un’opposizione durissima ma intelligente al nuovo governo. In grado di sfidarlo su temi sui quali vi è grande attenzione ed aspettative da parte di milioni di elettori (il reddito di cittadinanza, lo sfondamento dei vincoli di bilancio, la modifica dell’infame legge Fornero sulle pensioni), prestando grande attenzione a non essere accomunati all’opposizione da destra, di sistema che i grandi giornali e il polo politico attorno al Pd metterà in campo.
Pensiamo che questo debba essere il compito di Potere al Popolo, che il 26-27 Maggio a Napoli finalmente supererà la sua fase emergenziale, comprensibilmente poco democratica, coincisa con un denso periodo elettorale e una convivenza embrionale di realtà finalmente riunitesi dopo anni di divisione. Questo percorso, che non sarà facile ma di certo necessario e stimolante, per funzionare dovrà costruire uno spazio politico che sia a bassa soglia d’entrata, che abbia il fine esplicito e chiaro della costruzione di un polo antiliberista popolare che unisca la sinistra politica e sociale per poi andare molto oltre. Per diventare egemonici e cambiare il senso comune costruendo un’Italia solidale e giusta, per articolare la forza sociale necessaria per cambiamenti strutturali nella produzione e nella cultura del paese non basta unire quei pochi che pensano le stesse cose, ma bisogna porsi l’assillo di quelli che mancano, di quelli che vivono la crisi ma non hanno le parole e gli strumenti per costruire un’alternativa. Avere un’ambizione egemonica vuol dire rifiutare l’idea di un soggetto politico per addetti ai lavori e non ritenere assolutamente chiusa la fase di accumulo delle forze. Unidos Podemos e La France Insoumise sono esempi di come si possano avere contenuti radicali e grande consenso, se però non ci si barrica nel nostro mondo, con modelli di adesione leggeri come l’iscrizione gratuita ad una piattaforma online. Forme di partecipazione leggere ed orizzontali, da affiancare a quelle più classiche, ma che permattono la partecipazione di chi non maneggia l’alfabeto militante, che facciano della nostra organizzazione uno strumento di politicizzazione e non il luogo chiuso e compiuto di qualche migliaio di militanti. Certo, nell’assenza di alcune condizioni che ne hanno permesso il successo politico di Unidos Podemos e la France Insoumise (forte leadership, fase di movimento ampia e popolare, mobilitazioni sindacali e di massa) in Italia dovremmo essere molto più aperti, ma dovremo comprendere anche una piccola quota per il mantenimento dell’organizzazione e della piattaforma (non avendo la rappresentanza istituzionale dei soggetti prima citati). Noi non dobbiamo convincere i militanti che ancora mancano ad entrare in Pap, ma trasformare Pap in uno strumento di partecipazione popolare che convinca milioni di cittadini e cittadine che è possibile il cambiamento.
Per fare questo bisognerà evitare l’errore fondamentale di questi anni. Per colpa di responsabilità diverse e non equiparabili tra i vari soggetti partitici della sinistra radicale, la discussione sulla costruzione di un soggetto dell’alternativa si è spesso ridotta a tavoli tra organizzazioni che avevano orizzonti strategici differenti. Non pensiamo certo che non sia utile e legittimo mettere assieme tutti coloro i quali si ritengono di sinistra e ritengono necessaria una sinistra alternativa in Europa e in Italia, ma pensiamo che non sia il terreno prioritario, perché questo risultato sarà il positivo effetto collaterale della costruzione di un soggetto aperto, plurale e credibile che non può essere tale se continuamente dilaniato da prospettive diverse in perenne conflitto. Un soggetto che ha come obiettivo una “democrazia radicale” ed egualitaria, che guarda al Gue/Ngl in Europa e che si pone in totale autonomia e antagonismo rispetto al Partito Democratico e al Partito Socialista Europeo. L’idea di attendere fatalisticamente un big bang del Pd o un suo spostamento a sinistra è una posizione legittima di un pezzo della sinistra radicale di questo paese che però impedisce qualsiasi forma di unità strutturata. Se persistono prospettive differenti, porsi il tema dell’unità della sinistra vorrebbe dire perseguire un obiettivo non alla portata, procrastinando l’avvio di un processo collettivo che porti alla nascita necessaria di un soggetto dell’alternativa. Inoltre, alimentare l’illusione di un obiettivo non alla portata alimenta quel sentimento popolare di folclorizzazione dell’identità della sinistra attraverso la rappresentazione di un universo piccolo e litigioso, tanto minoritario da essere insignificante e pur incapace di unificarsi dinanzi alle sfide attuali. Pensiamo che sia giunta l’ora di iniziare la costruzione di un soggetto credibile e autonomo che potrà unire la sinistra e contemporaneamente rappresentare qualcosa di più grande. Non è l’unità della sinistra che fa la forza, ma la forza che saremo in grado di sviluppare che unirà la sinistra.
Molti dei tanti limiti odierni di Potere al Popolo sono riconducibili principalmente alla sua fase attuale di sviluppo. Non si può pretendere da un soggetto appena nato una “cultura politica”. Fino ad oggi Potere al Popolo è stato un puzzle confuso e spesso conflittuale tra realtà differenti e tutte (sottolineiamo tutte) non autosufficienti, nemmeno adesso che si sono sommate. Per questo dobbiamo porci il problema di una forma aperta che sappia immediatamente parlare all’esterno e coinvolgere i tanti che non ci sono, perché non siamo tutto quello che può servire per costruire una rivoluzione. Solo un processo collettivo produce cultura politica in chi lo pratica e lo vive. Altri luoghi, già praticati, non penso fossero spazi di maggiore o minore affinità culturale politica per la costruzione di nuovi soggetti rispetto a Potere al Popolo.
Pensiamo che si debba elaborare definitivamente il fatto che percorsi del passato, simili da ultimo al cosiddetto “Brancaccio”, siano morti, perché nella differenza di culture politiche coesistevano però prospettive politiche inconciliabili. Inoltre, fa specie che si sorvoli sull’esercizio arbitrario di forzature anti-democratiche di quel percorso, in barba ad un processo collettivo che pure aveva indicato sedi decisionali e svolto momenti deliberativi, da parte di chi intende i processi collettivi come orpello alle proprie ambizioni personali.
Riguardo al problema della carenza di un meccanismo democratico in Potere al Popolo, pensiamo che non possa essere democratico un soggetto che non sia organizzato e che attualmente viene governato da un coordinamento nazionale che altro non è, va detto candidamente, che lo spazio pattizio di confronto e mediazione tra realtà preesistenti. Per questo è necessario al più presto superare il coordinamento attuale e partire con l’organizzazione, sviluppando democrazia.
Il processo collettivo che tutti assieme dovremo alimentare avrà la necessità di affrontare alcuni nodi teorici, organizzativi e comunicativi nella consapevolezza che molte risposte le troveremo camminando, che alcune vedranno discussioni accese e che necessiteremo di una cultura politica della convivenza e del consenso. Qualsiasi velleità di egemonizzare militarmente Potere al Popolo da parte di chiunque produrrà l’effetto di impedirne la crescita e favorirne l’autodistruzione nell’indifferenza generale o, nella migliore delle ipotesi, relegandolo ad una mera funzione testimoniale. Fuori da PaP una serie di intellettuali ci hanno guardato con interesse, sostenuto, votato e anche criticato. Partendo da loro dovremmo costruire spazi di confronto ed elaborazione senza la paura di metterci in discussione. Potere al popolo avrà la difficile missione storica di sviluppare una riflessione teorica alimentata da una volontà egemonica per affrontare una “guerra di posizione” in cui ricostruire nessi sociali, cambiare il senso comune e le istituzioni.
Per cambiare il senso comune che ha premiato la Lega e il Movimento 5 Stelle non possiamo illuderci di non dover aprire una profonda riflessione sul perché la nostra azione politica di questi anni, le nostre parole e le nostre idee hanno consegnato le classi popolari alla destra. Non basta mettersi assieme, dobbiamo iniziare un check-up approfondito di quello che siamo rispetto alla totalità sociale che viviamo senza spocchia né paura.
Infine, la funzione elettorale di Potere al Popolo deve essere quella di favorire la maggiore unità popolare possibile, sotto le insegne del proprio simbolo o favorendo liste che consentano di raggiungere questo obiettivo. Laddove ci siano esperienze locali che già svolgono questa funzione e che condividono l’orizzonte strategico, PaP dovrà favorirne la crescita, non tentare operazioni fagocitanti (che risulterebbero perfino ridicole), ma contribuendo sul piano dei contenuti e dell’unità. In Spagna soggetti partitici di ben altre dimensioni rispetto alla nostra (come Izquierda Unida e Podemos) hanno rinunciato alla presentazione del proprio simbolo nelle elezioni comunali per favorire non accrocchi di ceto politico, bensì liste di unità popolari e radicali composte da partiti e movimenti, che hanno permesso l’elezione di sindaci come Ada Colau a Barcellona. Pensare che l’affermazione di Potere al Popolo sia elettoralmente in contrapposizione agli altri soggetti che condividono gli stessi obiettivi vuol dire precipitare in un elettoralismo dei poveri che alimenta debolezza e non costruisce forza.
Nelle fasi di caos sistemico e di crisi organica si apre il ventaglio delle opportunità politiche, per cui prospettive prima impensabili adesso sono possibili, cambiamenti di lunga durata diventano repentini ma nulla di tutto ciò è meccanicamente destinato ad essere positivo. Pensare che in una crisi del genere che cambia tutto non serva mettersi in discussione, provare inquietudine per il consueto rassicurante e inefficace vuol dire rintanarsi in un conservatorismo identitario.
Quello che sarà Potere al Popolo dipenderà solo da noi!