Avrei voluto scrivere di tante cose in questi giorni, ma non ne ho avuto il tempo! Per un motivo molto semplice, per quanto imprevisto: continua a scriverci e telefonarci gente che ci ha conosciuto con le elezioni (alcuni dopo, grazie alla “maratona Mentana” e alla reazione allegra che è piaciuta a molti), gente che ora vuole costruire Potere al Popolo!
Ci chiedono di tesserarsi, di aprire sedi in paesini, di partecipare ad assemblee territoriali. Qualcuno, fedele allo spirito folle, prende e parte mobilitando su FB tutti i giovani di una città e creando gruppi paralleli, mentre noi cerchiamo di stargli appresso, seguire chat, il gruppo fb che discute sempre di più, organizzare l’assemblea del 18 marzo, che vedrà – al momento – 6 pullman in arrivo da tutta Italia… Insomma, di nuovo in pieno manicomio!
So che i vecchi tromboni della sinistra storica, gli invidiosi, i disfattisti non ci credono, ma sta succedendo davvero. E’ una cosa assurda: prendi l’1,16% e la gente si vuole aggregare a te! Com’è possibile? Semplice: le persone che ci scrivono hanno perfettamente capito, sin dall’inizio, quello che volevamo fare: attraversare la fase elettorale per uscircene con un’organizzazione politica in grado non solo di rimettere insieme le forze sparse della sinistra di base, ma di portare nella lotta una nuova generazione.
Durante la campagna la gente si è divertita, si è creata comunità, tanti ci hanno aiutato, e ora tutti hanno voglia di andare avanti ed entrare finalmente nel vivo!
L’opposizione al prossimo governo, il lavoro territoriale, il conflitto sui posti di lavoro, il dibattito culturale, insomma, tutte le cose belle che farà la nostra futura organizzazione, che di fatto con il suo orgoglioso 1,16% si ritrova a essere l’unico pezzo strutturato su tutto il territorio nazionale in mezzo alle macerie della sinistra non solo istituzionale…
Queste persone sono per fortuna aliene dalle logiche della vecchia politica che a sinistra brilla per pippe intellettuali, rancori, domande esistenziali. Una composizione che ha – ben più di noi “vecchi compagni”, e in analogia con i primi 5 stelle – capito che l’importante era iniziare da qualche punto, e che una volta partiti bisogna continuare e verificare un’opzione sul medio periodo, facendo le cose con coesione e metodo. Che ha attaccamento alla maglia, che prova un sentimento di appartenenza l’uno con l’altro.
La verità è che nessuno ha saputo analizzare il nostro voto, perché troppo interessato a rinchiuderci nei cliché. A breve faremo uscire analisi dettagliate al riguardo, soprattutto su Napoli, che sono molto rivelanti (abbiamo bisogno di tempo, noi nella vita lavoriamo anche!).
Io – a sensazione ma non troppo – dico che i nostri 372 mila e rotti voti si dividono quasi a metà. Uno 0,5-0,6% che è il bacino dei partiti della sinistra radicale storica. E un altro 0,5-0,6% che ha invece caratteristiche nuove. Come dimostra lo studio di alcuni flussi, prendiamo voti anche da gente che si asteneva, da gente al primo voto e persino qualcosa da chi aveva votato in passato 5 Stelle per mancanza di meglio.
Mentre la prima composizione può avere qualche frustrazione, perché è quella che viene dal PCI dove si faceva il 30% e quindi si vive come alla fine di una storia, l’altro pezzo di bacino non si preoccupa perché vede in questo risultato solo un inizio. E’ un pezzo che non si avvicinato per le elezioni in sé, ma perché voglioso di costruire una comunità, il mutualismo, la solidarietà sui posti di lavoro.
Per cui la nuova sfida che si apre ora è questa: riusciremo a far sì – nelle elezioni, che sono una guerra, ce l’abbiamo fatta, ma il quotidiano è più pesante -, a far sì che il “vecchio” mondo riconosca il “nuovo” e accetti le logiche dei “barbari”? Riusciremo a far sì che il “nuovo” riconosca il “vecchio” e ne riprenda il patrimonio di esperienze e di strumenti analitici?
E noi, che non facciamo politica di professione ma siamo lavoratori, militanti di base, riusciremo a organizzare tutto questo, a trasformarci noi stessi nel processo? A inventare forme inedite di organizzazione che non siano il Partito con tutto il suo corredo burocratico, ma nemmeno il puro movimentismo con la sua falsa orizzontalità, ma una sorta di partito/movimento o meglio: una dialettica fra centro politico e autorganizzazione territoriale?
Sono questioni grosse. E non è detto che ce la faremo. Serve l’intelligenza, lo studio, la prova e la verifica e il buon senso di tutti. Però una cosa è certa: lanciare la sfida, partecipare alle elezioni, ha aperto uno spazio politico e ha posto in essere un’organizzazione che ora ha un minimo di mediaticità, di strumenti e di radicamento. Abbiamo raggiunto il nostro primo scopo!
Ora dobbiamo aprire ancora di più lo spazio a tutti quelli che ci vogliono entrare per davvero: singoli, collettivi, altre reti sociali. E dobbiamo strutturare i processi organizzativi e decisionali. Ci vorrà qualche mese.
Ma se facciamo bene questo passaggio, la profezia di Viola la sera delle elezioni sarà verificata: “Oggi hanno vinto i 5 Stelle, domani tocca a noi”.