Finalmente si torna a parlare di Teatro Regio, oltre le luci della ribalta, facendo attenzione a quel dietro le quinte che è poi il cuore stesso di ogni teatro. Le polemiche sull’aumento del compenso del direttore generale Anna Maria Meo e collaboratori, proprio mentre vengono fatti tagli al personale, almeno sono servite a questo. Perché diciamo “finalmente”? Perché è da oltre dieci anni che i dipendenti chiedono attenzione alla città e alle istituzioni, per quello che succede quotidianamente nel piccolo mondo del Regio. Proprio le istituzioni parmigiane, infatti, svolgono un ruolo di primissimo piano in questa vicenda, dato che lo stesso Sindaco Federico #Pizzarotti è Presidente della#FondazioneTeatroRegio. Ereditato un teatro indebitato fino al collo, grazie alla gestione tossica della giunta #Vignali, Pizzarotti si è sempre preoccupato di far rientrare i debiti alla svelta. Ma come spesso avviene nel nostro Paese, a farne le spese sono stati principalmente i dipendenti stessi, soprattutto precari, che avevano ben poche responsabilità nelle disastrose scelte dirigenziali: tagli al personale, agli stipendi, blocco delle stabilizzazioni, maggiore precarietà e lunghi periodi di disoccupazione, sono entrate a far parte del quotidiano.
Mentre fra le mura del teatro si vive in questo clima di austerity, al di fuori, invece, il Regio sembra risollevarsi. O almeno è quello che hanno ripetuto in continuazione Sindaco, assessori e dirigenti, prontamente appoggiati da quotidiani e tv. E, in effetti, il Regio rinasce, tanto che il #FestivalVerdiottiene finalmente lo stanziamento di un fondo statale stabile e Parma viene scelta come Capitale della Cultura 2020. Che bello! Finalmente una buona notizia. Stando così le cose, l’aumento per chi sta ai vertici del Teatro sembra addirittura giustificato.
Ma se ai piani alti si festeggia (con un aumento che vede passare il compenso solo per la Meo da 80mila a 120 mila euro), la situazione dei#dipendenti addirittura peggiora. Non solo i contratti, infatti, sono fermi dal 2006 e di conseguenza gli stipendi, ma come se non bastasse la giunta e i dirigenti vogliono altri tagli sui costi del personale. Ma come? Ma non andava tutto alla grande? In realtà no. Il teatro ducale rimane lo specchio della desolante realtà del mondo del lavoro in Italia, in cui, se un dirigente lavora bene abbattendo il costo del lavoro, merita aumenti da capogiro, se invece va male, può sempre scaricare la colpa sui lavoratori, che costano troppo, che si ammalano, che vanno in maternità, in un ricatto infinito.
Pur non volendo giudicare le scelte artistiche, culturali e strategiche della Fondazione, una domanda ci sembra doveroso farla: quanto è lecito, dopo anni di crisi, premiare una dirigente che già sta prendendo uno stipendio di tutto rispetto e non farlo con tutti gli altri? Era proprio necessario far arrivare sempre più quattrini nelle tasche di chi già ne aveva tanti? Non sarebbe stato meglio tutelare i lavoratori in difficoltà?
È una vergogna, certo, ma stavolta sarebbe il caso di non fermarci all’indignazione.
#PotereAlPopolo non può che schierarsi con i dipendenti del Teatro nella loro #lotta: queste cose succedono continuamente in mille altri posti di lavoro, in altre città e in altri Paesi, e dovrebbero darci la forza per tornare a pretendere quei diritti che ogni giorno vengono negati o, peggio, cancellati.