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Lucia Deleo: il mio contributo all’assemblea

Molto lucido l’editoriale di Marco Revelli sul Manifesto del 10 marzo “La sinistra se n’è andata da sé”. Lucido, disincantato, ma … troppo comodamente liquidatorio.

Eppure proprio da lui avevo imparato che il mondo visto con lo sguardo di un/una sessantenne (la mia età) non è quello di chi ha nuovi occhi, perché l’uno contiene ciò che non esiste più, l’altro quello che, per ora informe o “in forma” sconosciuta, non esiste ancora.

Comodamente liquidatorio, perché, se è vero che “non basta fare, ma occorre pensare e ripensare”, è pur vero che mentre noi stiamo nella torre d’avorio ad aspettare un segno o che altri agiscano e reagiscano, lo spazio del fare non rimane disoccupato. Non possiamo restare a piangere sul simulacro che di una sedicente sinistra (per essere precisi centrosinistra) che nel tempo come sostantivo ha riguadagnato il suo significato di “infortunio, sciagura, disastro” e come aggettivo di “infausta, nefasta, sfavorevole, lugubre, cupa, paurosa”.

Prendiamo atto che da tutto ciò, ma anche dai vecchi sporcaccioni come Berlusconi, le italiane e gli italiani hanno voluto prendere le distanze, ma questa volta facendosi sentire, visto che le altre volte, dal referendum sull’acqua in poi, non ci sono riusciti. Possiamo non essere d’accordo, ma avevano ben pochi mezzi per agire diversamente in modo “pacifico”.

Non sono rimasta delusa dal risultato elettorale semplicemente perché avevamo già vinto una battaglia, quella di riaccendere la speranza, addirittura l’entusiasmo, parola di difficile e timida pronuncia alla mia età. Che non significa molto se ce ne torniamo a casa, ma è una ricchezza enorme se invece riusciamo a continuare. E dissento da quanto afferma appunto Marco Revelli nello stesso articolo quando dice: […] Né l’esperienza pur generosa (per lo meno nella sua componente giovanile) di Potere al popolo – purtroppo sfregiata dal pessimo spettacolo in diretta la sera dei risultati con i festeggiamenti mentre si compiva una tragedia politica nazionale -, può tracciare un possibile percorso alternativo: il suo risultato frazionale, sotto la soglia minima di visibilità, ci dice che neppure l’uso di un linguaggio mimetico con quello «populista» aiuta a superare l’abissale deficit di credibilità di tutto ciò che appare riesumare miti, riti, bandiere travolte, a torto o a ragione, dal maelstrom che ci trascina. Chi si è espresso per conto di “Potere al Popolo” non ha volutamente usato un linguaggio mimetico con quello “populista”, ha parlato come sa parlare ed è un linguaggio chiaro, fresco e comprensibile anche se in pochi hanno avuto l’occasione di ascoltarlo. E non è il linguaggio di chi promette, ma di chi propone. Vogliamo provare a cambiare insieme, perché noi siamo quelle/i che subiscono gli effetti negativi dello stato di cose presenti.

Mi rimane oscuro anche il significato di “sfregio” per lo spettacolo di gioia durante la diretta televisiva sui risultati elettorali. Se penso alla progressiva solitudine in cui noi, quelli che non contano nulla, ma che hanno vissuto le grandi stagioni di lotta collettiva e hanno fatto grande la “sinistra”, ci siamo inabissati dalla fine degli anni ‘80 in poi, se penso che questi meravigliosi ragazzacci 20/30/quarantenni che si sono imbarcati nell’impresa folle di Potere al Popolo hanno sempre vissuto in una società individualista e competitiva dove tutto si compra, dove non c’è niente di collettivo e dove tutti sono contro tutti, un’esperienza come quella vissuta in questi tre mesi non poteva che essere salutata con festa e gioia, perché è il segno che, anche se non siamo arrivati in parlamento, si può fare! Non siamo più soli! Mi dispiace per i bacchettoni e uso le parole di Paolo Pietrangeli in Contessa: “Sapesse Contessa che cosa m’ha detto/ un caro parente dell’occupazione/ che quella gentaglia rinchiusa là dentro/ di libero amore facea professione./ Del resto mia cara di che si stupisce […] non c’è più morale, Contessa.“.

Visto che credo fortemente che non possiamo proprio tornare indietro  proverò a dare delle indicazioni. Intanto vorrei che non si perdessero nel tempo tre qualità che ho trovato in Potere al Popolo e che forse sono appannaggio solo (e in parte) del mondo associativo, in particolare di quello “religioso” e non ho mai trovato nelle organizzazioni di sinistra che ho conosciuto nel corso della mia vita: la capacità di dire GRAZIE e quindi di “ri-conoscere” le persone, i loro sforzi, il loro lavoro ecc.; la fiducia nelle persone, che è cosa ben diversa dal fideismo, ma anche dal clan e dalla cerchia dei fedelissimi, rovina di tutti i tempi e causa/effetto di comportamenti mafiosi; infine ultimo, ma non per questo meno importante, il carattere inclusivo del progetto, ancora più miracoloso se si pensa che molte organizzazioni, in particolare giovanili, tra quelle che hanno dato vita a Potere al Popolo, hanno potuto nascere, crescere e resistere solo nel più totale isolamento. Quindi continuiamo a “restare umani”. Ciò detto ecco alcune suggestioni:

Organizzazione (la rete)

Prima di tutto credo che occorra rispettare le differenze e non chiedere a nessuno di coloro che hanno dato vita a Potere al Popolo di “sciogliersi” in una nuova organizzazione a meno che non lo vogliano. Se vogliamo evitare il penoso spettacolo della sinistra che si frantuma dobbiamo per primi imparare a convivere tra differenti e fare della differenza una forza.

Quindi Potere al Popolo dovrebbe da una parte raccogliere chi non ha un’organizzazione di riferimento e dall’altra coordinare le organizzazioni fondatrici su temi condivisi.

Non credo che sia un’impresa semplice (organizzazione leggera/pesante?), così come non sarà semplice la formazione degli organismi chiamiamoli “coordinatori” se non vogliamo dire “dirigenti” che però sono necessari… e non ho ricette in proposito. Per riprendere il povero Revelli che cita Montale “questo solo sappiamo «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo» “ sarà utile definire qualche criterio (esempio no alla sovrapposizione di ruoli, favorire donne e giovani under 40), e soprattutto il sostegno umano, sociale e politico per chi sarà imbarcato in questa impresa. Anche la solitudine del dirigente e dell’eletto/a sono tra le cause della perdita di contatto con il reale. Chi lavora, visto il modo in cui si lavora/non lavora oggi, ha poco tempo ed energia da dedicare alla politica, ma è fondamentale il suo punto di vista e le sue capacità come, del resto, non si può fare a meno dell’esperienza di chi milita nelle vecchie organizzazioni, ma che non può per questo fagocitare il resto. Di sicuro non saranno le differenti organizzazioni a decidere chi, ma le proposte vanno avanzate alle assemblee che poi definiranno le persone (come è stato per i candidati). Ce n’è per i beati e non vi sto aiutando, ma di questo bisognerà parlare.

L’importante è che le varie componenti di Potere al Popolo che seguono argomenti specifici o settori di intervento definito, trovino sostegno ed aiuto nel movimento/organizzazione. Fine della solitudine.

Finanziamento

Occorre trovare il modo per autofinanziarci ed avere anche una cassa di autoaiuto per le situazioni di difficoltà in giro per il paese e per le piccole/grandi prossime scadenze elettorali. Forse ce la possiamo fare anche senza tessera, ma cerchiamo di vedere come. In ogni caso apriamo una forte campagna di sottoscrizione tra cene e spettacoli! Ma già lo sapete, i poveri è vero, si comprano più facilmente, ma sono molto più generosi dei ricchi.

Il programma

Sarà difficile scegliere quali parti lasciare indietro e quali portare avanti del programma scaturito dalle assemblee. Sicuramente chi “fa” deve continuare a “fare”, perché non bisogna abbandonare ciò che funziona, soprattutto nel momento in cui si sta perdendo la capacità di intervento, pubblico/privato che sia.

In questo momento, visto che da soli non siamo niente, ma uniti siamo una forza, mi sembra comunque fondamentale occuparsi da una parte della nostra posizione in Europa e nel Mediterraneo, dall’altra di come intervenire nelle contraddizioni del lavoro/non lavoro, dagli algoritmi che condizionano la nostra vita al reddito di “cittadinanza” (preferirei inclusione), ma su questo ci sono già molti interventi.

Infine ritorno su un tema che mi sta a cuore e che ho riproposto in una mia lettera quando ho accettato la sfida di potere al popolo. Lo ripropongo per intero come l’ho scritto:

La parola “potere” andrebbe comunque indagata. Ce lo ricordava Peter Kammerer l’anno scorso, durante la festa della Lega di Cultura di Piadena che compiva 50 anni e sarà il tema della festa di quest’anno. «Vogliamo il potere, ma con questi corpi e modi di fare non lo avremo mai “a meno che il potere non cambi la SUA NATURA“. L’esperienza fatta da Marx dopo la Comune di Parigi lo portò a scrivere che non basta prendere il potere così com’è. Così non è utilizzabile ai nostri scopi. Ci trasformerà. Invece è il potere che va trasformato. E lo stesso vale per gli apparati di produzione industriale e culturale. La storia non cambia solo perché siamo noi a dirigere questi apparati.».

E già che ci sono vi invito a seguire questa meravigliosa festa che si terrà a Piadena e dintorni nei giorni del 23/24/25 marzo prossimi vedi: www.legadicultura.it  Lega di Cultura di Piadena – Home | Facebook

Buon lavoro! Una bella maratona per le compagne e i compagni della Liguria che vengono in pulmann (da Genova partenza alle 2 di notte). Io non ce la faccio, ma loro sono tante/i. Un abbraccio grande!

Lucia Deleo

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