*Il Fondo Internazionale di Emergenza per l’Infanzia delle Nazioni Unite (UNICEF) riferisce che, ogni minuto, un/a bambinə viene spintə alla fame nei quindici paesi più devastati dalla crisi alimentare globale. Dodici di questi quindici paesi sono in Africa (dal Burkina Faso al Sudan), uno è nei Caraibi (Haiti) e due sono in Asia (Afghanistan e Yemen). Guerre senza fine hanno deteriorato la capacità delle istituzioni statali di questi paesi di gestire crisi a cascata di debito e disoccupazione, inflazione e povertà. A unirsi ai due paesi asiatici sono gli stati che compongono la regione africana del Sahel (in particolare Mali e Niger), dove i livelli di fame sono ormai quasi fuori controllo. Come se la situazione non fosse sufficientemente grave, un terremoto ha colpito l’Afghanistan la scorsa settimana, uccidendo oltre mille persone – un altro colpo devastante per una società in cui il 93% della popolazione è scivolata nella fame.
In questi paesi colpiti dalla crisi, gli aiuti alimentari sono arrivati dai governi e dal Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (World Food Programme, WFP). Milioni di rifugiati in questi paesi dipendono quasi interamente dalle agenzie delle Nazioni Unite. Il WFP fornisce cibo terapeutico pronto all’uso, che è una pasta alimentare a base di burro, arachidi, latte in polvere, zucchero, olio vegetale e vitamine. Nei prossimi sei mesi, si prevede che il costo di questi ingredienti aumenterà fino al 16%, motivo per cui il 20 giugno il WFP ha annunciato che avrebbe tagliato le razioni del 50%. Questo taglio avrà un impatto su tre rifugiati su quattro in Africa orientale, dove vivono circa cinque milioni di rifugiati. “La polveriera rappresentata dai livelli estremi di deperimento infantile inizia a prendere fuoco”, ha dichiarato Catherine Russell, Direttrice generale dell’UNICEF.
Le cause profonde dell’aumento dei prezzi
- Durante la pandemia, i severi lockdown all’interno dei paesi e alle loro frontiere hanno portato a gravi interruzioni nella circolazione del lavoro migrante. È ormai assodato che il lavoro migrante – compresi i rifugiati e i richiedenti asilo – svolge un ruolo chiave nella produzione agricola. Il sentimento anti-immigrati e i lockdown hanno creato un problema a lungo termine nelle aziende agricole su larga scala.
- Una conseguenza della pandemia di COVID-19 è stata la rottura della catena di approvvigionamento. Mentre la Cina – epicentro di un considerevole volume di produzione globale – perseguiva una politica zero-COVID, ciò ha messo in moto un problema a cascata per il trasporto marittimo internazionale; con i lockdown, i porti chiusi e le navi rimaste in mare per mesi e mesi. Il ritorno del trasporto marittimo internazionale quasi alla normalità e il ritorno della produzione industriale – compresi fertilizzanti e cibo – è stato lento. Le catene di approvvigionamento alimentare sono entrate in crisi a causa dei problemi logistici, ma anche a causa della carenza di personale negli impianti di lavorazione.
- Gli eventi meteorologici estremi hanno giocato un ruolo importante nel caos del sistema alimentare. Negli ultimi dieci anni, tra l’80 e il 90% dei disastri naturali sono stati determinati da siccità, inondazioni o forti tempeste. Nel frattempo, negli ultimi quarant’anni, il pianeta ha perso 12 milioni di ettari di terra arabile ogni anno a causa della siccità e della desertificazione; durante questo periodo, abbiamo anche perso un terzo della nostra terra arabile a causa dell’erosione o dell’inquinamento.
- Negli ultimi quarant’anni, il consumo globale di carne (principalmente pollame) è aumentato drasticamente; questa tendenza è destinata a continuare nonostante alcune indicazioni che abbiamo raggiunto il “picco del consumo di carne”. La produzione di carne ha un’enorme impronta ambientale: il 57% delle emissioni totali dell’agricoltura proviene dalla carne, mentre la produzione zootecnica occupa il 77% dei terreni agricoli del pianeta (anche se la carne contribuisce solo al 18% dell’approvvigionamento calorico globale).
Trasformare radicalmente il sistema alimentare mondiale
Nonostante tutte le conversazioni sull’autosufficienza nella produzione alimentare, gli studi dimostrano che l’azione è carente. Entro la fine del 21 ° secolo, ci viene detto, 141 paesi nel mondo non saranno autosufficienti e la produzione alimentare non soddisferà le esigenze nutrizionali di 9,8 dei 15,6 miliardi di persone che si prevede saranno sul pianeta. Solo il 14% degli stati del mondo sarà autosufficiente, con Russia, Thailandia ed Europa orientale come principali produttori di grano per il mondo. Una previsione così desolante richiede che trasformiamo radicalmente il sistema alimentare mondiale; una serie provvisoria di richieste è elencata in Un piano per salvare il pianeta, sviluppato da Tricontinental: Institute for Social Research e una rete di istituti di ricerca di tutto il mondo.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha chiarito che il conflitto in Ucraina e le sanzioni contro la Russia devono finire quanto prima in modo che questi produttori chiave di alimenti e fertilizzanti possano riprendere la produzione per il mercato mondiale.
Date loro qualcosa da mangiare
Ma, solo pochi anni fa, le Nazioni Unite hanno sostenuto i programmi brasiliani Fome Zero e Bolsa Família, che hanno ridotto drasticamente i tassi di fame e povertà. Sotto la guida degli ex presidenti Lula da Silva (2003-2010) e Dilma Rousseff (2011-2016), il Brasile ha raggiunto gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. I governi successivi di Michel Temer (2016-2018) e Jair Bolsonaro (2019-oggi) hanno invertito queste conquiste e riportato il Brasile ai peggiori giorni della fame, quando il poeta e cantante Solano Trindade cantava, ‘tem gente com fome‘ (‘ci sono persone affamate’):
ci sono persone affamate
ci sono persone affamate
ci sono persone affamate
…
se ci sono persone affamate
date loro qualcosa da mangiare
se ci sono persone affamate
date loro qualcosa da mangiare
se ci sono persone affamate
date loro qualcosa da mangiare
Con affetto,
Vijay
*Traduzione della ventiseiesima newsletter (2022) di Tricontinental: Institute for Social Research.