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[Ungheria] Continuano le proteste di lavoratori e giovani contro Orban e la sua legge “schiavitù”

“Buon Natale, signor primo ministro”, è fra gli slogan delle manifestazioni che si stanno svolgendo di continuo a Budapest. Una mobilitazione quale non si vedeva da anni, in Ungheria, per continuità, contro un sistema politico. La scintilla si è accesa con l’approvazione al Parlamento della legge, definita “schiavista”, che innalza il tetto degli straordinari a 400 ore annuali in più. Un bel regalo di Natale ai lavoratori, da lì lo slogan prima menzionato.
Il premier sostiene che occorre venire incontro alle esigenze delle imprese e che comunque questa disposizione è stata concepita anche
negli interessi dei lavoratori dipendenti. I sindacati rispondono che essa non farà altro che asservire i dipendenti ai datori di lavoro e che i soldi per pagare questi straordinari arriveranno chissà quando. Gli straordinari sono formalmente facoltativi, ma quanti lavoratori diranno di no alle richieste di ore extra?

Molti di loro avranno paura di essere licenziati, così le organizzazioni sindacali parlano di situazione ricattatoria. C’è scarsità di  manodopera qualificata, si parla di 500.000- 600.000 ungheresi andati all’estero seguendo un flusso che dura, secondo gli esperti, almeno dal 2009 e intensificatosi negli anni successivi. Si tratta di un fenomeno che vede al centro persone per la maggior parte qualificate, provviste di titoli di studio e in grado di parlare più lingue. Le destinazioni sono soprattutto la Germania e la Gran Bretagna dove gli ungheresi che emigrano sperano di trovare inserimento e migliori condizioni di guadagno e di lavoro. Il problema della scarsità
di manodopera qualificata viene sottolineato dalle aziende, molte di esse straniere e importanti come la Mercedes, la Opel e l’Audi che segnalano il bisogno di forza- lavoro, investono nel paese e concorrono alla sua crescita economica che è consentita soprattutto dai fondi Ue. Ora bisogna chiedersi a vantaggio di chi si determini questa supposta crescita economica.

L’Ungheria risulta essere agli ultimi posti in Europa per livello delle paghe mentre il costo della vita aumenta. Nelle regioni orientali che continuano ad essere tra le più depresse economicamente non c’è lavoro e il malcontento sociale è anch’esso in aumento.
C’è quindi un problema di redistribuzione della ricchezza prodotta e quando la ricchezza non viene redistribuita in maniera equa si chiama privilegio di pochi. Ha ragione László Kordás, presidente della MASZSZ, principale confederazione sindacale ungherese a dire
“l’economia ungherese cresce, sì, ma per un ristretto numero di persone”. Alla fine questa legge farà gli interessi delle grandi aziende, specie quelle straniere, ma Viktor Orbán non era quello che diceva di voler mettere al primo posto i diritti della sua gente, dei lavoratori ungheresi e delle loro famiglie?

Obiettivo della protesta non è però solo la “legge schiavitù”, ci sono anche la situazione delle università e della magistratura. C’è subito da precisare che le manifestazioni in atto sono iniziate con una saldatura tra mondo del lavoro e studenti universitari che accusano il governo di aver eroso la libertà accademica. Lo attaccano, poi, per aver determinato il trasferimento della CEU (Central European University) a Vienna. Studenti e dottorandi hanno dato vita, a fine novembre, a un collettivo studentesco e solidarizzato con i sindacati, tanto più che saranno i lavoratori di domani. “Paese libero, università libera” il loro slogan contro un governo ostile al libero pensiero e allo spirito critico. Non è un caso che, appena affermatosi, il sistema di potere concepito e guidato da Orbán, abbia promosso la riscrittura dei testi scolastici, specie quelli di storia, e promosso la creazione di un istituto di studi storici il “Veritas”, per dar luogo a una nuova narrazione della storia patria, con attenzione particolare per quella contemporanea.

L’altro spunto è dato dalla legge, votata la scorsa settimana, che prevede l’istituzione di tribunali amministrativi speciali con giudici scelti dal ministero della Giustizia fra uomini fedeli all’esecutivo. Questi tribunali sono stati concepiti per giudicare i reati contro lo Stato. Dal Parlamento la protesta si è spostata di fronte alla sede della tv pubblica. Da lì sono stati cacciati in malo modo alcuni deputati dell’opposizione che intendevano trasmettere le cinque rivendicazioni dei manifestanti: esse riguardano la cancellazione della “legge
schiavitù”, quella riguardante i tribunali speciali, gli straordinari della polizia, l’adesione dell’Ungheria alla Procura europea e la libertà di stampa. Il governo e i suoi sostenitori accusano i manifestanti di essere dei sobillatori ispirati da George Soros, il magnate americano di origine ungherese, fondatore della CEU.

La stampa di governo e i giornaletti distribuiti nelle metropolitane li chiamano vandali, ma a parte che la città non è stata messa a ferro e fuoco, che dire di certo vandalismo politico capace di seminare discordia e deprimere un intero paese dai punti di vista sociale e morale? Che dire di un sistema impegnato a sottoporre la gente a un metodico e regolare lavaggio del cervello con una propaganda continua e martellante? Che dire di un sistema che intossica l’opinione pubblica diffondendo la paura dell’invasione dei migranti e l’ostilità nei confronti di chi è diverso, musulmani, omosessuali ecc.?

Dal 2010, anno in cui è tornato al governo, il premier ungherese non ha fatto altro che creare un sistema fortemente dirigista, teso a realizzare un controllo sempre più esteso della vita pubblica del paese scoraggiando le persone a occuparsi di politica e degli affari pubblici. Ha poi provveduto a neutralizzare le coscienze dando a una parte del paese l’impressione di essere governata da un sistema in grado di difendere gli interessi nazionali e di migliorare il tenore di vita delle famiglia con un po’ di sussidio che è solo fumo negli occhi per non far vedere che la sanità e il settore scolastico vanno male, per esempio. Abbiamo visto manifestanti, giovani e meno giovani, esprimere rabbia e stanchezza a fronte di un sistema che sta “stressando” il paese a colpi di allerte contro i nemici esterni e i suoi agenti in patria, sempre in agguato e creando una vera e propria sindrome da accerchiamento.

Magari i dimostranti, a parte i cinque punti, non hanno un programma preciso, ma sono accomunati dall’insoddisfazione e dalla voglia di vivere in un paese diverso. Una voglia espressa da loro, dai sindacati e da quel po’ di opposizione che si è attivata vedendo forse in queste manifestazioni continue una possibilità di rilanciare il dissenso in forme concrete e di gettare i semi di qualcosa che forse germoglierà.
Rabbia, tensione, ma anche voglia di condivisione e una certa creatività si sono viste nei luoghi della protesta. Accanto ai manifestanti sembra già di respirare aria nuova, ma il sistema con cui hanno a che fare non starà con le mani in mano. Vedremo.

Massimo Congiu

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